Quello che impressiona sono i numeri: produttività cresciuta del 30%, fatturato per dipendente raddoppiato, spazio occupato ridotto almeno del 40%, rotazioni di magazzino migliorate di cinque volte. Coniugata in salsa veneta la lean production sembra un miracolo, soprattutto in tempo di crisi, ma chi l'ha provata assicura che è una straordinaria ed assolutamente opportunità.
Diego Caron traduce il concetto in un solo numero: «Un mio caporeparto percorreva quotidianamente 8,7 chilometri per seguire il lavoro, oggi praticamente non si muove dal suo posto, sono due ore nette guadagnate».
Caron ha 44 anni e guida con il padre l'omonima azienda che produce componenti oleodinamiche poco fuori Bassano del Grappa. La "lean" è diventata quasi la sua filosofia di vita. Ne aveva sentito parlare al gruppo metalmeccanici di Confindustria Vicenza, poi ha visitato un paio di aziende che già lavoravano sul progetto ma prima di decidersi ha frequentato un "executive" al Cuoa, business school vicentina da sempre aperta su ogni fronte dell'innovazione. «Una ventina di ore in tutto - ricorda - per farmi capire i principi base e convincermi a mandare allo stesso corso anche due miei collaboratori. Poi siamo partiti su un doppio binario: io ho frequentato sempre al Cuoa il master in lean production che è durato un anno ed in fabbrica abbiamo attivato questo modello su una porzione di reparto. Non basta certo la teoria nè ci si può accontentare dei consulenti. Il rapporto è un po' quello del sarto con il vestito, bisogna imparare il mestiere ma poi anche tagliare l'abito su misura della persona. Nella nostra piccola fabbrica sperimentale l'efficenza è passata dal livello 42 al livello 82 ed ogni dubbio residuo è scomparso».
Caron non vuole nemmeno parlare di risultati raggiunti perchè - spiega - la chiave del successo di questo modello sta proprio nella sua evoluzione e il lean è diventato il "CPS - Caron Production System". «Nel reparto più avanzato - afferma - abbiamo posizionato su ruote le macchine perchè questo ci consente di spostarle in continuazione cercando il più alto grado di efficenza ma anche di semplicità produttiva. Il tutto con un modello nato dal basso, che ha cancellato la vecchia impostazione piramidale del lavoro. Non c'è più il dirigente, il capo reparto, il capo officina, l'addetto alla macchina ma piuttosto un team compatto che lavora a ciclo completo su un progetto. È fondamentale fare squadra perchè, in fondo, a noi non servono poche brillanti Ferrari ma piuttosto un nutrito gruppo di 500 capaci di macinare chilometri e di farlo volentieri, con un alto tasso di motivazione».
Il discorso scivola subito sull'impatto con il personale. Tanta formazione, ovviamente, ma anche un radicale cambio di cultura. «Sposato con entusiasmo - sottolinea Caron - da chi prima passava la giornata a mettere tappi ai tubi ed ora realizza da solo il prodotto finito. In fabbrica si sono viste piantine fiorite accanto alle macchine, radioline per ascoltare la musica: cose prima impensabili. Ma c'è anche l'altro lato della medaglia. Le resistenze sono venute soprattutto dal fronte amministrativo e direzionale, poco disponibile al gioco di squadra. Ma i solisti non servono in questo modello e così c'è stato un ricambio quasi naturale, anche su numeri elevati, che però non ha certo intaccato i programmi. Giusto per fare un ultimo numero, se prima eravamo a 3,5 rotazioni di magazzino l'anno oggi siamo a 12 e puntiamo ad arrivare a 20, anche se la potenzialità che ci viene riconosciuta è a quota 40».
Di numeri vincenti ne sforna a ripetizione anche Giorgio Zanchetta, amministratore delegato di Anodica Trevigiana, azienda leader nella produzione di componentistica per gli elettrodomestici. Un settore che non ha certo brillato nell'ultimo periodo ma l'azienda ha tenuto sul fatturato e migliorato la redditività. «Merito della lean production - ammette Zanchetta - anche se abbiamo in realtà solo posto le basi di un cambiamento che vuole essere molto più ampio e che è destinato a dare frutti decisamente più importanti. Per noi la svolta ha portato, oltre ad una grande flessibilità, un ulteriore incremento di qualità, elemento strategico per competere».
La Anodica Trevigiana è un'azienda abituata da sempre ad innovare perchè il suo mercato di riferimento lo richiede. Tra il 2000 ed il 2006 ha triplicato il fatturato e portato la quota export dal 39 al 70%. «Pareva che avessimo fatto tutto il possibile - dice Zanchetta - ma rischiavamo di fermare la nostra corsa proprio nel momento più delicato. È stato a quel punto che ho valutato le opportunità che mi erano state prospettate da chi già aveva fatto esperienza con questo modello. Siamo partiti con un reparto pilota e la differenza si è vista subito. Prima di tutto sul fronte del personale. La formazione c'è stata, è stata lunga ed accurata ma oggi chi lavora su quella linea è in grado di fare praticamente l'intero processo. Prima avevamo tanti comparti stagni: il trattamento del metallo di base, la lavorazione meccanica, la spazzolatura, l'anodizzazione, l'assemblaggio. Ogni pezzo faceva un lungo percorso e c'era una movimentazione enorme di materiali. Oggi ogni lavoratore è in grado di compiere più di una di queste operazioni ma anche di cambiare codifica alla macchina, non c'è più movimento di materiali semilavorati ma un'unica linea di produzione ed il magazzino è ridotto al carico iniziale della materia prima ed ad una piccolissima scorta alla fine del processo».
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